APPROVATO DAL CONSIGLIO DIRETTIVO DELL'ASSOCIAZIONE IN DATA 01.10.10

lunedì 16 gennaio 2012

DUE PAROLE SUL DIRITTO ALLO STUDIO

di Ario Corapi

commento per immagini 
di Dario Coppola

Da mesi ormai la situazione dell'EDISU e del diritto allo studio tiene banco sullo scenario della città di Torino e dell'Ateneo torinese, situazione che pare essere senza svolta nè via d'uscita.

Lo scorso anno la Regione ha messo in atto tagli alle borse di studio pari al 70%, lo stesso Consiglio di Amministrazione dell'EDISU a dicembre 2011 non è riuscito ad approvare il bilancio di previsione per quest'anno mettendo il numero "zero" alla voce dei fondi per le borse di studio, alcune voci parlano addirittura di un rischio di commissariamento dell'ente e negli ultimi giorni si è arrivati persino a sfrattare alcuni studenti fuori sede dalle residenze universitarie. La situazione man mano che passa il tempo si fa sempre più drammatica e delicata, per questo è inutile fare qualsiasi tipo di proclama da politicanti o qualsiasi tipo di demagogia e per questo va espressa solidarietà a tutti gli studenti fuori sede che quest'anno non avranno neanche un soldo per pagarsi gli studi oltre a non avere nemmeno un posto dove alloggiare. Lo scorso mese il Senato Accademico dell'Università di Torino ha deciso di devolvere all'EDISU un importo pari a 10 milioni di euro a sostegno delle borse di studio, la Regione ha annunciato negli ultimi giorni l'intenzione di ridurre gli "sprechi" e i costi di gestione delle strutture EDISU per reperire più fondi possibili da destinare sempre alle borse di studio, solamente il Comune di Torino in tutti questi mesi non ha espresso una sola parola in merito alla situazione nonostante alla conferenza stampa di fine anno il sindaco Fassino avesse annunciato l'intenzione di non aderire ai limiti imposti al Comune di Torino sulla stabilità del bilancio comunale per non diminuire i servizi alla cittadinanza torinese.

Forse sarebbe necessario che anche il Comune di Torino decidesse di prendere posizione in merito offrendo la propria collaborazione all'EDISU e alla Regione col fine di trovare una via d'uscita da una situazione che pare essere un vicolo cieco, potrebbe essere una possibile via d'uscita o comunque un'alternativa più che valida all'ipotesi di permettere ai privati (fondazioni bancarie e aziende) di prendere parte ai finanziamenti delle borse di studio che finirebbero per diventare un "mutuo ipotecario" e che graverebbe non poco sul futuro economico e professionale degli studenti che le ricevono.

Ario Corapi
Segretario Associazione Culturale Quintiliano
Studente di Scienze Politiche UniTo

martedì 3 gennaio 2012

UNIVERSITA' di TORINO: TEMPIO DELLA CONOSCENZA O DELLA FATISCENZA?


di Ario Corapi

commento per immagini 
di Dario Coppola

Il primo semestre dell'anno accademico 2011/2012 volge al termine e la sessione esami invernale si appresta a partire, ma all'Università degli Studi di Torino continuano a far parlare i problemi relativi all'organizazzione e al bilancio dell'Ateneo.
La questione che ha tenuto banco nelle ultime settimane riguarda le difficoltà dell'EDISU (Ente Regionale per il Diritto allo Studio) nel fare fronte, tramite i finanziamenti della Regione Piemonte, a tutte le richieste per le borse di studio di quest'anno. A nulla sono serviti i 25 milioni di euro reperiti in extremis dalla Regione per finanziare il bando di quest'anno e infatti soltanto il 30% delle richieste per le borse di studio di quest'anno sono state esaudite, il rimanente 70% degli studenti rimasti a bocca asciutta dovrà arrangiarsi con quello che ha.
La situazione attuale dell'EDISU non promette nulla di buono neanche per l'anno prossimo, tant'è vero che all'interno della giunta regionale c'è chi ipotizza una possibile apertura ai privati (fondazioni bancarie e aziende) nella compagine dei finanziamenti delle borse di studio, ma tra gli studenti c'è chi giustamente si chiede che cosa ne rimarrà della funzione sociale delle borse di studio una volta che saranno i privati a finanziarle considerato che di questo passo esse rischiano di diventare dei mutui ipotecari sul futuro piuttosto che delle agevolazioni alla vita dello studente.
Che dire poi del nuovo statuto dell'Ateneo approvato nel mese di ottobre dalla Commissione Statuto presso il Rettorato?

Alla fine si è vista prevalere la linea del Rettore Pelizzetti e dei suoi collaboratori, la quale ha fortemente danneggiato il ruolo degli studenti all'interno degli organi di rappresentanza; nel vecchio statuto dell'Ateneo gli studenti avevano diritto ad eleggere 8 rappresentanti presso il Senato Accademico e 3 presso il Consiglio di Amministrazione,  ora con il nuovo statuto i posti riservati agli studenti saranno 6 presso il Senato Accademico e 2 presso il Consiglio di Amministrazione e come se non bastasse il seguente statuto prevede anche che il Rettore possa esercitare maggiore pressione nei confronti del Senato Accademico circa le nomine dei membri esterni da far entrare nel Consiglio di Amministrazione.
In parole povere con il nuovo statuto gli studenti, pur rappresentando la stragrande maggioranza della
"popolazione universitaria", conteranno di meno ed avranno decisamente poca voce in capitolo sull'amministrazione dell'Ateneo e saranno
costretti a subire la linea del Rettore e dei suoi collaboratori, che al contrario rappresentanto un'esigua minoranza della "popolazione
universitaria". A giudicare dalla situazione vien da chiedersi a cosa sia servito tutto l'ostruzionismo portato avanti da "Studenti
Indipendenti - Collettivo Bonobo", movimento studentesco interno all'Università di Torino, che per tutta l'estate ha fatto demagogia su tale questione e ha promesso battaglia e opposizione contro la linea del Rettore, a giudicare dal risultato finale si direbbe che tutta quell'opposizione non ci sia stata e tutta quella demagogia non sia servita a nulla.
Un ultimo aspetto sull'organizzazione dell'Ateneo torinese riguarda l'organizzazione del carico didattico e delle sessioni di esame, fra gli studenti aumentano le polemiche sul carico didattico sostanzioso con troppi esami da sostenere in troppo poco tempo e infatti c'è chi rimpiange i tempi della vecchia sessione esami di aprile che si teneva a metà del secondo semestre fino a 2 anni fa.

L'esigenza di ripristinare la sessione di aprile si sente particolarmente a Giurisprudenza e a Scienze Politiche dove gli studenti di alcuni corsi di laurea si ritrovano a dover seguire 7 corsi in 1 anno, di cui 2 nel primo semstre e addirittura 5 nel secondo semestre. Ora, come si può pensare che gli studenti possano preparare 5 esami in un semestre superandoli tutti durante un'unica sessione della durata di circa 2 mesi (giugno-luglio)?
E pensare che 2 anni fa l'abolizione della sessione esami di aprile suscitò la soddisfazione di
buona parte del corpo docenti proprio di Giurisprudenza e di Scienze Politiche, quindi allora vien da pensare che siano stati proprio i professori a volere l'abolizione di questa sessione.
Ma allora siamo proprio sicuri che la sessione di aprile sia stata abolita per rendere il percorso formativo "più severo" e "più meritocratico"?
Non sarà mica che la sessione è stata abolita semplicemente perché alcuni professori non hanno voglia di fare il lavoro per il quale vengono pagati (con le tasse degli studenti)?
Perché gli studenti devono ricevere un servizio in meno - nonostante quello che pagano in tasse -
solo perché certi professori non hanno voglia di fare il loro lavoro?
Riflettendo su quanto detto fin qui, chissà cosa ne pensa di tutto ciò il neo-ministro dell'Università, nonché Magnifico Rettore del Politecnico di Torino, Francesco Profumo che in più di un'occasione ha
affermato di avere a cuore il futuro accademico di Torino...

Ario Corapi
Segretario dell'Associazione Quintiliano,
studente di Scienze Politiche 
all'Università degli Studi di Torino

domenica 20 novembre 2011

Un Museo per l'Africa

segnalazione della nostra Margherita Di Pinto 
Appuntamento inaugurale di UN MUSEO PER L’AFRICA con la proiezione di Mariscica fu la prima di Annamaria Gallone, che introdurrà il film insieme a Giuseppe Gariazzo.
MUSEO NAZIONALE DEL CINEMA (Mole Antonelliana)
Bibliomediateca – 21 novembre 2011, ore 20.30, Sala Eventi


Appuntamento inaugurale del progetto del Museo Nazionale del Cinema UN MUSEO PER L’AFRICA, ciclo di eventi, incontri e proiezioni dedicati al continente africano, lunedì 21 novembre 2011, alle ore 20.30, con la proiezione del documentario Mariscica fu la prima di Annamaria Gallone. L’evento è curato dal critico e studioso di cinema africano Giuseppe Gariazzo, che introdurrà insieme all’autrice il suo lavoro, particolarmente delicato e sensibile, sulla migrazione delle donne capoverdiane.
UN MUSEO PER L’AFRICA è un progetto del Museo Nazionale del Cinema. Continuazione ideale della rassegna SCHERMI AFRICANI, presentata a maggio dello scorso anno, il progetto si realizzerà in collaborazione con diversi enti e associazioni che operano nel settore della cooperazione internazionale, sono previsti incontri con registi, proiezioni e presentazioni di libri che si terranno con cadenza mensile fino a maggio 2012 e che saranno puntualmente comunicati. Il programma comprende inoltre tre proiezioni al mattino per gli studenti delle scuole superiori torinesi di alcuni dei film in programma.
Anche per questi nuovi appuntamenti è prevista la collaborazione con il Consorzio ONG Piemonte.

Annamaria Gallone
Mariscica fu la prima
(Italia-CapoVerde 2010, 90’, col.)
Sono tutte donne, e tutte hanno una storia da raccontare: sono le protagoniste di un fenomeno abbastanza particolare, una migrazione tutta al femminile verso un’Italia che allora, agli inizi degli anni ‘60, conosceva solo l’emigrazione. Erano ragazze quando sono partite da un paese a sua volta giovane (l’indipendenza è del ’75) distribuito su dieci isole, le Isole di Capo Verde. Sono donne che hanno lavorato duro, che hanno
cambiato il proprio destino e che ora, tornate nelle isole d'origine, ci raccontano la storia della loro vita profondamente umana.


giovedì 6 ottobre 2011

VERITA' NASCOSTE tre incontri del Quintiliano


Ario Corapi
presenta 
tre incontri con la finalità di
INFORMARE PER FORMARE 
a partire da ottobre 2011

lunedì 18 luglio 2011

PIU' RAPPRESENTANZA PER GLI STUDENTI, MENO PRIVILEGI PER I BUROCRATI

di Ario Corapi

Ormai da mesi l'Università italiana sta vivendo, per via della Riforma Gelmini approvata di recente, una fase di profondo cambiamento che ne condizionerà (in negativo) la struttura e l'andamento per il futuro.
Il caso più eclatante è quello dell'Università degli Studi di Torino che ormai da mesi è alle prese con una "gatta da pelare" che riguarda l'approvazione del nuovo statuto dell'Ateneo.
Dopo l'approvazione del "disegno di legge Gelmini" sulla riforma universitaria avvenuta in Parlamento a dicembre 2010, presso l'Ateneo torinese è stata istituita una Commissione Statuto con il compito di elaborare ed approvare il testo del nuovo statuto conforme con la riforma universitaria; nonostante la Commissione Statuto sia attiva da gennaio/febbraio e il Ministero dell'Università e della Ricerca abbia dato la chiara direttiva di approvare il nuovo statuto entro giugno 2011, l'approvazione dello statuto pare essere ancora in alto mare a causa di un continuo gioco-forza, interno alla commissione, che vede protagoniste da una parte "studenti e ricercatori" e dall'altra "docenti ordinari,dirigenti,baroni e rettore", infatti visti i ritardi dei lavori il ministero ha concesso all'Ateneo torinese una proroga di 3 mesi per approvare ufficialmente il nuovo statuto (quindi fino a settembre 2011).
Attorno alla questione statuto ed ai lavori per l'approvazione di esso vi sono dei misteri, delle scorrettezze e delle anomalie che è doveroso segnalare: 1) perchè da qualche mese a questa parte i verbali delle riunioni della Commissione Statuto non vengono più resi pubblici? 2) perché il Rettore dell'Ateneo, Enzo Pellizzetti, continua a voler imporre a tutti i costi uno statuto che regoli gli organi di rappresentanza (specie a proposito del Senato Accademico) a beneficio dei baroni e a scapito delle altre categorie (studenti, docenti non ordinari o associati, ricercatori a tempo determinato, ecc.)? 3) perchè le alte cariche dell'Università di Torino, a differenza del Politecnico di Torino e dell'Università di Bologna, continuano a rifiutare l'ipotesi di indire un referendum a suffragio universale interno all'Ateneo per l'approvazione ufficiale e l'entrata in vigore del nuovo statuto?
Sulla formazione del nuovo Senato Accademico il Rettore insiste perché venga composto da: 35 membri di cui 26 docenti (9 fra Direttori di Dipartimento e il resto docenti ordinari) invece di 24 come nel vecchio statuto, 5 rappresentanti degli studenti (invece che 6 come nel vecchio statuto) e 3 tecnici amministrativi (invece di 4) tutto per avere un maggiore potere di controllo sul Consiglio di Amministrazione dell'Ateneo in cui la metà dei membri dovrebbero appunto essere nominati discrezionalmente dal Senato Accademico; non ci vuole molto per capire che tale proposta porterebbe benefici e privilegi soltanto ai baroni e ai loro lacchè a scapito degli studenti, dei docenti associati e dei ricercatori precari.
E' ovvio che la parte composta dai poteri forti dell'Ateneo, capeggiata dal Rettore Pelizzetti, sta facendo tutto l'ostruzionismo possibile per compromettere i lavori della Commissione Statuto e per fare in modo che lo statuto non venga approvato nemmeno entro settembre, costringendo di fatto il ministero a commissariare l'Ateneo dopo settembre per poi imporvi uno statuto voluto solamente da Roma che lascerà senza voce in capitolo la parte rappresentata dagli studenti e dai ricercatori precari (che alla fine dei conti rappresentano la maggioranza fra coloro che frequentano l'ambiente accademico e lo vivono intensamente).
La verità è che i poteri forti dell'Università di Torino continuano a respingere l'ipotesi di indire un referendum a suffragio universale interno all'Ateneo perchè temono lo stesso risultato dell'Università di Bologna, dove lo statuto-diktat imposto dall'alto agli studenti e ai ricercatori è stato nettamente bocciato con oltre 2000 voti contro.
Il Rettore Pelizzetti e i suoi amici baroni, con la complicità del ministero di Roma, stanno imponendo all'Università di Torino un'organizzazione strutturale piramidale tipica della grandi aziende private che sta portando di fatto - come in tutta Italia - allo smantellamento dell'Università pubblica e sta facendo perdere ad essa la propria ragion d'essere, ossia, quella di "Tempio della Conoscenza".
Gli studenti, i ricercatori a tempo determinato e i docenti associati rappresentano la maggioranza dei componenti dell'Ateneo e quindi mi sembra ovvio che costoro abbiano diritto ad un più ampia rappresentanza possibile presso organi di rappresentanza importanti come il Senato Accademico e il Consiglio di Amministrazione dell'Ateneo e inoltre visto che l'approvazione del nuovo statuto dell'Ateneo procede in maniera così difficoltosa mi sembra altrettanto ovvio che l'ultima parola spetti ad un eventuale referendum a suffragio universale in cui rettore, dirigenti, docenti ordinari, docenti associati, tecnici amministrativi, ricercatori e studenti debbano esprimere la loro opinione in merito all'accettazione o meno del nuovo statuto; tutto questo affinché l'Università resti pubblica e continui ad essere ciò che è sempre stato, ossia, un luogo di cultura, di conoscenza, e di formazione e in modo che non diventi un feudo dei baroni, dei burocrati di turno e della "mafie accademiche".

Ario Corapi
Università degli Studi di Torino
Facoltà di Scienze Politiche

martedì 21 giugno 2011

Segnalazione di Ario Corapi

Giuseppe Pignatone, Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria

 

C’È UN POTERE FUORI CONTROLLO: LA MAGISTRATURA - di Piero Sansonetti

pubblicata da Zona di Frontiera su Facebook il giorno lunedì 20 giugno 2011 alle ore 13.57
La magistratura ormai è diventata un potere fuori controllo. Rischia di fare dei danni gravi, di far saltare gli equilibri fondamentali che regolano il funzionamento della nostra società, e di devastare lo stato di diritto. Purtroppo, al momento, il mondo politico sembra cieco di fronte al pericolo. C’è solo Silvio Berlusconi che lo denuncia, ma è poco credibile perché, tra le tante vittime dello strapotere dei giudici, lui certamente è la meno innocente. I suoi nemici invece sono convinti, ahinoi, di poter trarre profitto dallo scontro tra Berlusconi e il potere giudiziario, e quindi se ne infischiano, anzi alimentano la corsa dei giudici all’onnipotenza. E' così: l’Italia è nelle mani di una classe dirigente e di un ceto politico molto poco responsabili, non all’altezza dei propri compiti.


La guerra tra magistrati che si è aperta in Calabria, e che ieri ha visto il procuratore di Reggio, Giuseppe Pignatone, azzannare il dottor Alberto Cisterna, numero due dell’antimafia nazionale, è uno degli esempi più limpidi, e preoccupanti, di questo impazzimento del potere giudiziario. Pignatone ha deciso di iscrivere Cisterna sul libro degli indagati  (e la notizia – chissà per quali misteriose vie! - è stata fornita al “Corriere della Sera”) sulla base della testimonianza di un pentito che nessuno, in Calabria, ritiene neppur minimamente attendibile. Mentre è opinione comune che la moralità del dottor Cisterna sia fuori discussione.

Io, che sono vecchio, mi ricordo molto bene quando, tanti anni fa, un certo pentito Pellegriti, uomo di mafia, accusò in modo generico e senza riscontri Giulio Andreotti di contatti con “Cosa Nostra”; il giudice Falcone, nel giro di due ore, fece una cosa molto semplice: incriminò Pellegriti e dispose il suo arresto.
Vi assicuro che Pellegriti, nonostante tutto, aveva più credibilità del pentito Lo Giudice detto il “nano”. Perché Falcone fu così duro con lui? Perché avendo una grandissima conoscenza della materia delicatissima del “pentitismo”, Falcone sapeva quale fosse il pericolo: che i pentiti iniziassero loro stessi a diventare protagonisti, usassero la magistratura ai loro scopi, destabilizzando e soprattutto portando la giustizia lontanissima dalla verità. Falcone aveva costruito su un pentito - Tommaso Buscetta - la sua grandiosa opera di investigazione e le sue scoperte sulla mafia, ma sapeva anche che i pentiti andavano maneggiati con grande cautela. E che bisognava, spesso, diffidare di loro.

Francamente il dottor Pignatone, nel caso di Lo Giudice, non ha mostrato grande cautela. Ha creduto a una sua testimonianza basata per altro non su conoscenza diretta e nemmeno sul sentito dire, ma su una intuizione (“avevo l’impressione che mio fratello avesse...”) e invece di reprimere la calunnia ha proceduto all’iscrizione di Cisterna nel registro degli indagati e non ha impedito che la notizia arrivasse ai giornali. Producendo un danno di immagine e di credibilità incalcolabile ad uno degli uomini chiave dell’antimafia nazionale.

Diciamo che, al momento, questa partita – cioè questa guerra nella magistratura – la sta vincendo la ’ndrangheta. La quale, potete starne certi, stasera brinda a champagne per il colpo portato a segno dal “nano”.

Cosa si può fare adesso, per impedire che il “suicidio” dello Stato prosegua? Ripeterò quello che ho detto altre volte, e ancora recentemente, in garbata e serena polemica con il dottor Pignatone.

Primo, occorre riformare la legge sui pentiti, profondamente, in modo da ridurre al minimo la possibilità dei pentiti di essere decisivi nell’orientamento delle indagini e nelle loro conclusioni, e ridimensionando consistentemente il regime premiale. I pentiti non devono essere, come sono adesso, i padroni della Giustizia.

Secondo, bisogna intervenire per spezzare il cerchio di “complicità” tra magistratura e stampa, e cioè la tendenza di pezzi importanti di magistratura ad usare la stampa come un proprio strumento “punitivo” o “ricattatorio”. E' molto difficile che la stampa possa sottrarsi a questa sua subalternità da sola, perché è difficile rinunciare alle notizie e agli scoop. E allora deve intervenire la legge.

Terzo, si deve procedere a una riforma della giustizia che restituisca alla magistratura il suo ruolo essenziale nel funzionamento di una società democratica e le impedisca di compiere continuamente irruzione in ambiti di potere che non sono suoi e di usare le proprie competenze al fine di vincere battaglie politiche e di potere. Separazione delle carriere, riforma del Csm, riforma delle intercettazioni, eccetera.

Non c’è molto tempo da perdere. L’idea che riformare la magistratura sia un atto che va nella direzione dell’aiuto alla malavita è follia. E' il contrario. Non è possibile combattere davvero la malavita con la magistratura ridotta come oggi è ridotta. Se la stessa lotta alla mafia diventa uno strumento per altre battaglie politiche, statene certi, la mafia vincerà sempre.

Piero Sansonetti, CalabriaOra - 18 giugno 2011

lunedì 6 giugno 2011

Proposta per il Cineforum Q

Niccolò Cherasco propone la visione del film che ha vinto a Cannes